venerdì 30 aprile 2010

Promesse di Presidente.

Pubblicato da Debora Billi alle 10:10 in Peak Oil













Ne abbiamo parlato spesso anche noi dei proclami presidenziali americani sulla dipendenza dal petrolio, che paiono susseguirsi sempre uguali anno dopo anno come se nulla fosse.

Business Insider ne ha fatto una presentazione, chiamandola "una patetica storia", e scopro divertita che si risale addiritttura ai tempi di Nixon! Eccoli qua:

- Richard Nixon, 1974. Alla fine di questo decennio, nel 1980, gli Stati Uniti non dipenderanno più da nessun Paese estero per il fabbisogno energetico. Petrolio importato: 36,1%.

- Gerald Ford, 1975. Dobbiamo ridurre le importazioni di petrolio di un milione di barili al giorno entro la fine dell'anno e di due milioni per la fine del 1997. Petrolio importato: 36,1%.

- Jimmy Carter, 1977. A partire da questo momento, la nostra Nazione non userà mai più più petrolio importato di quanto ha fatto nel 1977. Mai più. Petrolio importato: 40,5%.

- Ronald Reagan, 1983. Mentre la conservazione vale la pena di per sé, la migliore risposta è cercare di renderci indipendenti dalle fonti estere al massimo possibile per la nostra energia. Petrolio importato: 43,6%.

- George Bush, 1992. Quando la nostra amministrazione ha sviluppato la strategia energetica, tre punti ci hanno guidato: il primo è ridurre la nostra dipendenza dal petrolio straniero. Petrolio importato: 47,2%.

- Bill Clinton, 1995. La crescente dipendenza del Paese dal petrolio straniero è una minaccia per la nostra sicurezza (...) continueremo ad aumentare gli sforzi per stimolare la produzione nazionale. Petrolio importato: 49,8%.

- George Bush Jr, 2006. La tecnologia ci aiuterà a raggiungere un grande obiettivo: rimpiazzare il 75% delle importazioni petrolifere dal Medio Oriente entro il 2025. Petrolio importato: 65,5%.

- Barack Obama, 2009. Sarà primario nella mia amministrazione ridurre la nostra dipendenza dal petrolio estero costruendo un'economia energetica che offrirà milioni di posti di lavoro. Petrolio importato: 66,2%.



Ancora convinti che "volendo siamo in tempo"?

sabato 24 aprile 2010

I bucanieri del Terzo millennio




















I bucanieri del Terzo Millennio sono una minaccia per l'ambiente, la sicurezza e la neutralità del mare internazionale. Autodifesa dei singoli Stati o risposta della Comunità Internazionale? I quesiti del mare libero.

Vengono definite «acque internazionali», Ugo Grozio, che ne fu uno dei principali teorizzatori, le chiamava «mare libero», sono i grandi spazi marini al di fuori delle acque territoriali dei singoli Stati nei quali vige la libertà di navigazione di ciascun Paese. Tale principio è stato ripreso dalle più importanti convenzioni internazionali che si sono preoccupate per lo più di regolarne l’utilizzazione e una equa spartizione delle risorse ittiche e del sottosuolo. Ma oggi la neutralità/libertà degli oceani è compromessa da minacce globali, prime fra tutte quelle ambientali come le immense isole di plastica galleggiante (v. Nicolò Carnimeo, Oceani di plastica, in Limes n. Il clima del G2) o quelle relative alla sicurezza, terrorismo e pirateria.




I bucanieri del Terzo millennio hanno compreso la fragilità del nostro sistema economico legato ai trasporti marittimi e di fatto sono divenuti padroni del «mare libero», (Golfo di Aden e grandi porzioni dell’Oceano Indiano) senza che le flotte dei singoli Paesi – anche in collaborazione tra loro - possano riuscire ad arginare efficacemente il fenomeno. Ma le recenti dichiarazioni all’agenzia Reuters dell’Ammiraglio Mark Fitzgerald, comandante in capo della flotta statunitense per l’Europa e l’Africa assomigliano quasi ad una dichiarazione di resa.


Egli ritiene che se anche l’impegno navale dovesse duplicare, e senza considerare le enormi spese a cui si andrebbe incontro, non si potrebbe garantire la sicurezza della flotta mercantile mondiale. Le conclusioni sono che ogni nave o armatore deve attrezzarsi per difendersi autonomamente. Gli oceani rischiano così di trasformarsi in un nuovo Far West dove più che quello di libertà vige il principio di autodifesa. Viene raccomandato l’utilizzo di guardie private a bordo. Né si può pretendere, conclude l’Ammiraglio che gli Stati Uniti possano farsi carico da soli di questo problema visto che sono già impegnati su altri fronti.



L’International Maritime Bureau (istituzione diretta emanazione della Camera di Commercio Internazionale) è da sempre contrario alla militarizzazione di cargo e tanker, le statistiche dimostrano che vi sono conseguenze, soprattutto in termini di vite umane. Una posizione simile ha anche la Confitarma ribadita in più occasioni pubbliche. Sono, però, stati presentati nel nostro Parlamento alcuni disegni di legge l’ultimo il 14 aprile (a firma dei deputati del Pdl Scandroglio, Cassinelli, Berruti, Nola) i quali prevedono la possibilità di utilizzare guardie armate sui mercantili.

L’Italia seguirebbe così l’esempio della Spagna che ha previsto la presenza di guardie armate a bordo della sua flotta tonniera di pescherecci che opera al largo delle Seychelles, soluzione adottata anche dalla Francia che, però, ha preferito inviare truppe speciali della propria Marina.





La presenza di uomini armati sui pescherecci (vale bene ribadire soluzione adottata solo per Seychelles) in diverse occasioni ha portato dei buoni risultati, ma il rischio è sempre quello che si aumenti l’intensità del conflitto, lo dimostrano le recenti dichiarazioni di Vicente de la Cruz, presidente dell’associazione spagnola Ases (Spanish Association of Escorts) il quale riferisce che negli ultimi attacchi i pirati somali hanno utilizzato armi pesanti provenienti dall’ex Unione Sovietica (Kpv 14.5) che consentono di fare fuoco su una nave a due miglia di distanza e sono facilmente rintracciabili nel mercato nero delle armi in Somalia.



De la Cruz prevede di negoziare con le autorità governative delle Seychelles l’uso a bordo di pescherecci di armi simili, indica il 1270 Browning. A cosa potrà portare questa corsa agli armamenti? E cosa accadrebbe se i provvedimenti dovessero estendersi all’intera flotta mercantile e non solo a quella peschereccia? E in ultima istanza chi deve farsi carico della difesa dei mercantili, che sono «pezzi» naviganti dello Stato a cui appartengono?


Non è facile rispondere a questi quesiti specialmente nelle more di una emergenza quale è la pirateria, ma si può affermare che oggi l’intera comunità internazionale in un principio di leale, necessaria, collaborazione dividendo gli oneri debba avere nuova considerazione e farsi carico del «mare libero» perché esso rappresenta patrimonio e spazio di libertà dell’intera umanità. Chissà che il mare ancora una volta non ci indichi la giusta rotta.


Nicolò Carnimeo è giornalista e scrittore. Insegna Diritto della navigazione all'Università di Bari. E' autore del libro
Nei mari dei pirati” (Longanesi) sul fenomeno della pirateria a livello mondiale e che narra delle sue ricerche a bordo di cargo petroliere e barche da diporto.


L’idea di questa nuova rubrica di Limesonline non risiede solo nell’attualità dell’argomento, ma nel convincimento che gli episodi di moderna pirateria risultino essere una straordinaria chiave di lettura delle attuali dinamiche geopolitiche. Queste pagine potranno alimentarsi anche grazie ad uno scambio di esperienze e informazioni di chiunque vada per mare o si occupi dell’argomento e che è invitato sin d’ora a scrivere all'autore (nicolocarnimeo@gmail.com)

di Nicolò Carnimeo
Fonte: liMes


La fine del paradigma metropolitano del XX secolo


teatro detroit
Debora vi ha appena dato un aggiornamento su Detroit. Ci metto del mio e vi passo, intanto qualche foto di detroit che spiegano, piu' di tante parole, di cosa stiamo parlando. Detroit, intendiamoci, è in decadenza da decenni. In pratica è il classico villaggio fantasma del vecchio West, riportato a scala continentale. Queste cose succedono, dovremmo saperlo bene e succedono anche velocemente ( questo lo sappiamo molto meno bene). Le città nascono, crescono si evolvono. E/o muiono quando esauriscono il loro scopo, la loro missione, il loro senso.
Non solo, abbiamo MILLENNI di Storia davanti ( o dietro?) a noi, che ci parlano di come e perchè questo succeda.
Non è finita; ci dicono anche COME succede e quanto, al massimo, può vivere una città.
Pura statistica. Sono migliaia, probabilmente, i centri urbani che nei millenni sono sorti (e sono scomparsi) sotto i piu' diversi climi, culture, religioni e paradigmi socioeconomici.
Su questi grandi numeri si possono fare osservazioni, ricercare schemi e similitudini e cercare di trarne se non qualche insegnamento, almeno qualche indicazione.
Detroit è, in questo senso paradigmatica della fine dell'industria pesante, concentrata, energivora, nel mondo occidentale. Dell'industria come base fondante della prosperita di un paese e/o elemento trainante dell'economia e della politica di un paese.
C'e' poi un aspetto a mio parere indebitamente trascurato, quanto si analizzi la crisi dei grandi distretti industriali.
Quel genere di vita, per niente corrispondente ai bisogni dell' uomo, era ed è sopportabile solo per un motivo: la personale scalata economica, alla ricerca di un benessere vero o presunto. In primo luogo si basa sui peones di ogni fede, cultura, origine, sul proletariato e sottoproletariato. Superato quel livello, al sopraggiungere della prima crisi, gli americani sono scappati dalla polvere, dallo squallore, dalla rovina.
In primo luogo, manco a dirlo, l'intellighenzia ( uff), portandosi via gli sghei.
A seguire il resto della cittadinanza.
OVVIAMENTE questo non è ANCORA successo in Cina, tanto per dire.
Ma succederà. Noi di Crisis riteniamo presto.
In realtà la città, in ultima analisi il luogo degli scambi degli incontri della cultura e, ovviamente, fulcro economico e politico locale e nazionale, è in crisi anche da noi. Via via che decentralizziamo, via via che la tecnologia ci permette di partecipare del mondo, connettendoci dai luoghi i piu' vari, via via che, anche da noi, la deindustrializzazione marcia a pieno ritmo.
Debora ha parlato di Detroit, che ha perso metà degli abitanti, negli ultimi decenni.
Avete mai provato a chiedervi quanti ne ha persi la vostra città?
Firenze, ad esempio, ha perso quasi un terzo della popolazione, dagli anni '70.
Le zone centrali probabilmente piu' due terzi. Il caro alloggi, certo.
Ma anche l'abbandono delle sedi universitarie, decentrate in orrendi comprensori nella piana e/o in periferia, la chiusura di molte imprese, industriali ed artigiane, la progressiva chiusura verso qualunque esigenza che non sia legata al turismo.
I nostri centri storici sono sempre piu' delle quinte vuote, dei simulacri da mostrare con orgoglio ai turisti. Pochi si accorgono che somigliano sempre piu' al centro di Pompei o Ercolano. Reliquie di un tempo che fu', mummificate ed imbellettate.
Un caso limite per tutti? Venezia. Nel cui centro storico non risiede che un decimo degli abitanti originari ( forse meno).
E' logico che questo succeda. Il motivo commerciale ed economico ormai gira intorno alle vetrine e non alle attività produttive. la capacità di aggregazione culturale decresce in parallelo con i fondi, l'interesse e le capacità a disposizione.
La politica, che dell'economia e della cultura è diretta filiazione, segue ed anzi anticipa vorticosamente il declino.
Quando guardiamo Detroit faremmo bene a riflettere sulle NOSTRE città, sul loro futuro, non ancora segnato ma purtuttavia ormai chiaramente tratteggiato.
Per rimanere a qualcosa che conosciamo bene e di cui ho già scritto: i romani erano orgogliosi della loro grande metropoli che ai tempi di Costantino era già tale da almeno 5 secoli.
Nonostante qualche saccheggio minore il centro di Roma era ancora intatto ai tempi delle guerre Gotiche. Aperto per l'ammirazione dei ( pochi) eruditi e studiosi di quel tempo agitato.  La città era però una quinta vuota, depapuerata del proprio ruolo politico ( la capitale era stata trasferita, da quasi un secolo a Milano, poi a Ravenna) economico (i commerci, a causa della insicurezza delle strade e delle vie marittime erano crollati) e "culturale" ( centinaia di istituzioni, templi, biblioteche, legati ai vecchi dei, ai vecchi paradigmi, erano stati svuotati, smantellati etc etc).
Purtuttavia vi sono prove che, appena prima del primo assedio gotico, la stragrande maggioranza dei monumenti era intatta e veniva manutenuta ( sia pure con crescenti problemi). Un decennio dopo la città era VUOTA. Bruciata, devastata. I tempi distrutti, statue e colonne usati come proiettili e/o fatti rotolare contro i goti, lungo i pendi alla base delle mura. Si dice che furono usate cosi DECINE DI MIGLIAIA di colonne.
In ogni caso, se fossimo passati da Roma DOPO le guerre gotiche avremmo visto una situazione simile a quella odierna. Non furono infatti i millenni ma pochi anni di furia e di collasso a distruggere edifici che erano perdurati per secoli, dall'alto dei quali i nostri bis bis bisavoli avevano contemplato i collassi delle civiltà altrui sperando che la loro non avrebbe seguito lo stesso corso. Lo speravano ma non ci credevano. Basta leggere quel che scrisse Marco Aurelio:
 "Volgi subito lo sguardo dall'altra parte, alla rapidità dell'oblio che tutte le cose avvolge, al baratro del tempo infinito, alla vanità di tutto quel gran rimbombo, alla volubilità e superficialità di tutti coloro che sembrano applaudire... Insomma tieni sempre a mente questo ritiro che hai a tua disposizione in questo tuo proprio campiello " (Ricordi, IV, 3).

venerdì 23 aprile 2010

Information is beautiful: war games

Who really spends the most on their armed forces?
Info is beautiful: defence budgets
Info is beautiful: defence budgets Photograph: David McCandless
Amid confusion over the rise in defence cuts, I was surprised to learn that the UK has one of the biggest military budgets in the world - nearly £40bn ($60 bn) in 2008.
But I was less surprised to see who had the biggest.
Info is beautiful: defence budgets Info is beautiful: war chests. Graphic: David McCandless
Yep, the United States spent a staggering $607bn (£402 bn) on defence in 2008. Currently engaged in what will likely be the longest ground war in US history in Afghanistan. Harbourer of thousands of nuclear weapons. 1.5m soldiers. Fleets of aircrafts, bombs and seemingly endless amounts of military technology.
Here's that bloated military budget in context.
Info is beautiful: defence budgets Info is beautiful: the US military budget. Graphic: David McCandless
The defence budgets of the other top nine countries can be neatly accommodated inside the US budget.
So the US is an aggressive, war-mongeringing military machine, right? And the numbers prove it.
But is that true? Is that the whole picture?

Military units

First of all, the enormity of the US military budget is not just down to a powerful military-industrial complex. America is a rich country.
In fact, it's vastly rich. So its budget is bound to dwarf the others.
Info is beautiful: defence budgets Info is beautiful: defence budgets compared. Graphic: David McCandless
(This is a reworking of an image from the blog ASecondHandConjecture.com)
It doesn't seem fair to not factor in the wealth of a country when assessing its military budget.
So, if you take military budgets as a proportion of each country's GDP, a very different picture emerges.
Info is beautiful: defence budgets Info is beautiful: the biggest spenders. Graphic: David McCandless
The US is knocked down into 8th place by such nations as Jordan, Burundi and Georgia. The UK plunges to 29th.
Why are these other nations spending so much on their military?

• Myanmar (Burma) is a military dictatorship, so that must bias their budgets a little.
• Jordan occupies a critical geographic position in the Middle East and has major investment in its military from the US, UK and France. In return, it deploys large peace-keeping forces across the world.
• The former soviet republic of Georgia was invaded by Russia in 2008. Relations remain extremely tense.
• Saudi Arabia spends heavily on its air force and military capabilities. Why is not clear.
The stories behind Kyrgyzstan, Burundi and Oman's spending are also not clear. (If you have any ideas, please let us know).

Soldiers

A country's military investment is not just dollars and cents. It's also about soldiers and infantry.
When it comes to sheer number of soldiers, you can guess the result.
Info is beautiful: defence budgets Info is beautiful: active forces. Graphic: David McCandless
But, as ever, using whole numbers creates a skewed picture. China obviously has a huge population. Their army is bound to be huge.
If you adjust the parameters to a proportional view, the image shifts dramatically.
Info is beautiful: defence budgets Info is beautiful 6: proportional forces. Graphic: David McCandless
North Korea tops the league with the most militarised population, while China plummets to a staggering 164th in the world league table.
The US barely scrapes the top 50. The UK's armed forces look tiny.
This re-ordering creates some surprises too. Israel and Iraq you could perhaps predict. But Eritrea and Djibouti?

All soldiers

To give the fullest picture of armed forces, reservists, civilian and paramilitary should also be included.
This again gives a different picture and perhaps a more revealing one. One that suggests combat readiness, primed forces and perhaps paranoia too? Who's expecting to be invaded?
Info is beautiful: defence budgets Info is beautiful: total armed forces. Graphic: David McCandless
Here again, when all the numbers are added up, the US infantry is ranked a lowly 61st for size in the world.
So is the US an "aggressive, war-mongering military machine" obsessed with spending on defence and plumping up its armed forces? Perhaps, the numbers say, not.
IL CAPITALISMO, UN SISTEMA ECONOMICO CONDANNATO DALLA SCIENZA


Postato il Giovedì, 22 aprile @ 17:10:00 CDT di davide



DI GILLES BONAFI

Mondialisation.ca



Quando si parla della crisi attuale si dicono un sacco di sciocchezze, ma numerose voci cominciano ora a porsi il problema di un sistema economico strutturalmente irrecuperabile che spinge l'umanità alla catastrofe, che, come avevo già sottolineato, non è se non il riflesso di noi stessi secondo la legge della potenza (legge di Pareto) e dei frattali. A trionfare sono dunque i peggiori (non i migliori), quelli che non hanno scrupoli e il cui ego è più sviluppato, i superpredatori; indipendentemente dal sistema all'opera (comunismo o capitalismo che sia), s'impone la legge della potenza e dei frattali. Non dimentichiamo che la legge di Pareto è esponenziale; una curva, in altri termini, che tende all'infinito, cosa impossibile nel nostro mondo finito, la biosfera.

Il funzionamento del nostro sistema non può dunque sfuggire a uno dei principi scientifici fondamentali: l'entropia.

Principio d'equilibrio

Per meglio capire, bisogna ricominciare dall'inizio e rendersi conto di cosa è il principio d'equilibrio, che si applica anche al nostro sistema economico. La chiave di tutto sono i matematici, che però disgraziatamente dimenticano l'essenziale - la spiritualità, o meglio la coscienza – e ci fanno ripudiare una materia in grado di spiegare tutto.

Cominciamo dallo zero e osserviamolo: 0. La parola viene dall'arabo "sifr", che vuol dire "vuoto", e rappresenta il vuoto delimitato da un cerchio, il serpente che si morde la coda (Ouroboros), simbolo dell'equilibrio che troviamo in tutti gli angoli dell'universo (l'atomo, la cellula, l'uovo, la terra) e in tutte le religioni.

Una curva esponenziale tende all'infinito, come la retta. Avrete capito dove voglio arrivare: tracciare una retta in un cerchio è impossibile, si finisce col toccare la circonferenza. Il rapporto dell'infinito, il caos (esponenziale e retta) e del finito (cerchio) si chiama "pi".

Gli antichi savi l'avevano perfettamente compreso e definivano il principio d'equilibrio come la successione di fasi di disordine, di espansione e di contrazione, di ordine dal caos come spiega la teoria del Tsimtsoum (teoria che nasce dagl'insegnamenti di Isaac Louria. NdT).

In effetti, niente può svilupparsi all'infinito, e finiamo sempre con l'arrivare alla contrazione (tsimtsoum); la si ritrova a livello dell'uomo con la respirazione o delle stelle che divengono giganti rosse (espansione) poi nane bianche (contrazione), ma anche nella famosa favola della rana che voleva diventare più grande di un bue, un racconto che si applica perfettamente alle nostre elite e a quel che sta succedendo ai nostri giorni.

È sotto quest'angolo che bisogna analizzare l'attuale crisi economica. La nostra economia è in una fase distruttiva, di contrazione (principio fondamentale dell'equilibrio), di entropia.

Entropia e crisi economica

Einstein ripeteva costantemente che secondo lui la legge della fisica più importante era "il secondo principio della termodinamica", cioè il concetto di entropia.

Per capire la nozione di entropia bisogna riportarsi alle leggi della termodinamica.

Studiare l'entropia di un sistema significa misurare il suo grado di disordine.

Secondo le leggi della termodinamica, un sistema la cui entropia aumenta finisce col generare disordine (caos) e col disperdere in modo incoerente l'energia; e la situazione si applica perfettamente a noi e al nostro sistema economico.

In effetti l'uomo consuma in modo incoerente l'energia (alimentazione, energie fossili) e quindi aumenta il disordine, il caos (inquinamento, distruzione delle altre specie). I matematici Arnaud Chéritat e Xavier Buff hanno recentemente dimostrato che il caos è onnipresente nei sistemi dinamici, e dunque nel nostro sistema economico. Si tratta di una rivoluzione profonda, perché prova in modo matematico l'impossibilità di prevederne il comportamento a lungo termine.

Se volete approfondire l'argomento, studiate l'affermazione dei due matematici secondo cui "esistono insiemi di Julia positivi".

La dichiarazione di Paul Jorion sulla necessità di vietare le scommesse sulle fluttuazioni dei prezzi ha trovato un alleato importante, la scienza!

Non vi saranno sfuggite le principali implicazioni della scoperta. La finanzia non dovrebbe più esistere perché introduce caos nel sistema.

Le soluzioni

Fino ad oggi sono state proposte poche soluzioni per risolvere questo profondo disfunzionamento, questo iato fondamentale nel funzionamento dell'uomo (microcosmo), che opera in circuito aperto in un mondo finito (macrocosmo). Ora, a lungo termine la vita non può sussistere senza l'unione tra il principio di equilibrio e l'armonia alla base della nostra vita spirituale comune (coscienza) e della vita presso i popoli primitivi.

Frédéric Lordon, ricercatore del CNRS, criticava l'ideologia neoliberale sostenendo che "Alain Minc non è capace di sostenere un solo argomento economico senza invocare la legge della gravità".

Eppure Alain Minc ha fondamentalmente ragione, ma ha scelto il peggio (legge della giungla) e non il meglio (legge di Pareto, entropia e frattali) per giustificare un sistema economico che non resiste a un'analisi anche solo superficiale, e meno ancora a un'analisi matematica. Per l'ideologia neoliberale tutto si riassume infatti nella legge della giungla: la legge del più forte diventa la legge della potenza (legge di Pareto), e dunque "il lato oscuro della forza".

Frédéric Lordon non si limita però a criticare, e avanza una proposta che nessun media ha ripreso: chiudere la Borsa. Ecco un'idea interessante; la finanza è il cuore del sistema e favorisce l'evoluzione esponenziale dei debiti e del caos. Inoltre oggi sappiamo che 5 banche statunitensi controllano quasi la metà dei prodotti derivati (oltre 20.000 miliardi di dollari) e hanno messo in opera un gigantesco insider trading, grazie ad algoritmi finanziari che permettono di guadagnare sempre e, ovviamente, senza nessun collegamento con la realtà economica. Nel mio articolo "Perchè l'economia mondiale non è crollata nel 2009 ?" sostenevo che "Bisogna capire che la Borsa non ha che una sola funzione sociale, fornire capitali alle aziende. Ma attualmente accade il contrario, ed è l'intera società ad essere presa in ostaggio e spogliata delle sue ricchezze a esclusivo vantaggio di pochi".

Siamo sempre più numerosi a protestare, come Omar Aktouf, professore dell'HEC Montréal o Paul Jorion.

Frédéric Lordon mette oramai in luce il vero funzionamento della finanza: "in Borsa, le aziende più che approvvigionarsi di capitali vengono depredate, perché quel che gli azionisti prendono (in dividendi e rastrellamento di azioni) finisce per superare quel che concedono. In conclusione non è più la Borsa a finanziare le aziende, ma sono le aziende a finanziare la Borsa".

La finanza è dunque il punto in cui si concentrano le "metastasi" di un corpo malato, che bisogna amputare prima di una loro propagazione.

Bisogna però essere chiari: si tratterà solo di una tappa. Il cuore del dibattito dovrà essere la necessaria rimessa in causa del capitalismo: pensare un sistema economico che funzioni in circuito chiuso, al cui centro si trovi l'uomo e non il denaro, criminalizzare la ricchezza eccessiva fissando un tetto per i patrimoni personali, ideare un sistema distributivo (e non ridistributivo) che metta la conoscenza al giusto posto e che innalzi l'uomo invece di trasformarlo in animale (mito di Circe) e in schiavo.

"Per capire impariamo a sognare!" August Kekulé.
Gilles Bonafi (professore di analisi economica)

Fonte: http://gillesbonafi.skyrock.com

Link: http://gillesbonafi.skyrock.com/2829664192-Le-capitalisme-un-systeme-economique-condamne-par-la-science.html

3.04.2010
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di CARLO PAPPALARDO

mercoledì 21 aprile 2010

La grande fame del 2050.

Apr 10


21La grande fame del 2050.

Pubblicato da Debora Billi alle 09:57 in Agricoltura
Un articolo che riepiloga chiaro e tondo come stanno le cose, ovvero che il problema non è la crisi economica o quella energetica, ma la prossima carenza di cibo. L'ho trovato sull'australiano Science Alert, non certo un sito di catastrofisti estremi.



Qui ne abbiamo parlato parecchie volte, ma non guasta leggere un riassunto così ben esposto:

- La domanda di cibo raddoppierà nei prossimi quarant'anni.

- E' un problema che non si potrà risolvere come negli anni '60, ovvero con la tecnologia: dobbiamo affrontare nodi più strutturali.

- Carenza di acqua. Solo gli abitanti delle città, nel 2050, useranno un quantitativo d'acqua pari a quello che oggi usiamo per tutta l'agricoltura mondiale.

- Perdita di territorio. Pare che il pianeta stia perdendo terreni agricoli al ritmo dell'1% di estensione annua, a causa del degrado, della desertificazione, dell'inquinamento, dell'espansione delle città. Ne abbiamo già persa il 24% rispetto a vent'anni fa.

- Le città avranno 20, 30 o 40 milioni di abitanti e nessuna capacità di produzione di cibo. Saranno pesantemente a rischio per ogni problema nella distribuzione.

-Abbiamo passato il picco di produzione per molti fertilizzanti indispensabili all'agricoltura intensiva, come il fosforo. Inoltre, continuando ad immetterli nel terreno, stiamo finendo con l'inquinare fiumi, mari e l'intera biosfera.

-Lo spreco è immenso. Si è calcolato che tra il 30 e il 50% di tutta la produzione agricola finisce gettata via, ovvero 2600 su 4600 calorie prodotte.

- Il picco del petrolio colpirà ovviamente anche la meccanizzazione dell'agricoltura, e ovviamente i biocarburanti, in questo contesto, non rappresentano proprio un'opzione.

- Enormi problemi anche per la pesca: si pensa che per il 2040 non ci sarà praticamente più nulla da pescare.

- Le proteine mancanti dal pesce non potranno essere sostituite dalla carne, perché per l'allevamento servirebbero un miliardo di tonnellate in più di grano e mille chilometri cubici di acqua dolce. L'equivalente di altri tre Nordamerica.

- La spesa mondiale per la ricerca in agricoltura è pari a 40 miliardi di dollari. Quella per le armi a 1500 miliardi.

Quest'ultimo punto denota cecità? Mica tanto. Si presume anche che le crisi alimentari che ci aspettano saranno causa di rivolte e guerre civili. Si fa molto prima a usare le armi, allora, che ad impelagarsi in una ricerca scientifica seria, nel cambiamento della dieta mondiale, nella riduzione dello spreco, nel riciclo dei rifiuti eccetera. E le armi rappresentano da sempre anche il più collaudato sistema per ridurre la popolazione.

Due piccioni con una fava, insomma, d'altronde dovremo abituarci a far molto con poco...




Fonte

lunedì 12 aprile 2010

L’idiota di massa seriale

Etichette: società, stato




Gian Piero de Bellis ha pubblicato sul suo sito Polyarchy.org un interessante analisi dell'uomo massificato dal titolo “From the serial mass moron to the singular human being.”



Questo è un breve estratto in italiano, in attesa che pubblichi la traduzione completa e riveduta.

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Di Gian Piero de Bellis





La società degli ultimi cento anni è stata precedentemente caratterizzata come una società di massa.



Se confrontiamo la società di massa attuale con quella aristocratica di un’epoca passata troviamo aspetti che non sono affatto negativi. Infatti, la società di massa significa anche che molti individui (e non solo alcuni ricchi aristocratici) sono in grado di godere di beni e servizi che erano un tempo appannaggio di una elite, e questo è un fatto positivo. Inoltre, molti individui sono fuoriusciti da una situazione di rigida soggezione ad un padrone aristocratico, dalla nascita alla morte, e controllano maggiormente il corso della loro vita.



Comunque, accanto ad alcuni cambiamenti positivi, dovuti in larga parte al progresso tecnologico, sono apparse anche molti aspetti sgradevoli. Il più significativo è il fatto che la società di massa, soprattutto nella prima metà del secolo XX, non è composta da una moltitudine di individui distinti che si ritrovano assieme. La parte più consistente è fatta di esseri-massa più o meno identici (el hombre masa descritto da Ortega y Gasset ne La Rebelion de las masas, 1930) sotto la guida e la tutela di potenti capi politici (Mussolini, Hiter, Stalin, Roosevelt, Churchill, Franco, Salazar). In una società di massa dominata dallo stato territoriale monopolistico gli uomini sono prodotti dai governanti come oggetti in serie nella catena di montaggio delle scuole gestite dallo stato, dei mezzi di comunicazione dominati dallo stato, delle industrie controllate dallo stato.



In un periodo successivo (la seconda metà del secolo XX) con la fine dei capi politici potenti assistiamo all’emergere di figure (Adenauer, De Gaulle, Attlee, De Gasperi, Eisenhower, Macmillan) scelte come per rassicurare il popolo stanco di combattimenti. Alcune di queste figure quasi paterne hanno coesistito con altre più giovani e più vibranti (Kennedy, Trudeau) che hanno prefigurato la situazione attuale in cui il capo è essenzialmente uno show-man o show-woman o è capace di agire come tale. Dai politici e dalla politica l’uomo massa chiede sempre più di essere intrattenuto, oltre che di essere esentato dallo sforzo di pensare e di agire, sperando che altri risolveranno magicamente tutti i suoi problemi.



Quello che si suppone caratterizzasse soprattutto il secolo XIX, e cioè la lotta per l’esistenza e la sopravvivenza del più adatto, è stato rimpiazzato nel corso del secolo XX secolo dall’incessante consumo di beni e dall’emergere del più grasso. Il compito più importante al giorno d’oggi è quello di consumare e di continuare a consumare perché l’economia, questa entità magica che nessuno ha mai visto, esige ciò.



Chiaramente tutto ciò è stato possibile perché, durante il XX secolo, sulla base di un incredibile aumento della produzione, lo stato militare prima e lo stato assistenziale poi sono riusciti a generare quello che può essere definito come l’idiota di massa seriale.



Focalizzando l’attenzione sull’attuale idiota di massa prodotto dallo stato con il supporto dei mezzi di distruzione mentale (e cioè i mass-media), tre aspetti, condivisi da un gran numero di gente, balzano all’occhio. Essi sono:



l’obesità fisica

l’apatia mentale

l’aridità morale

L’esistenza dell’idiota di massa seriale è stata sostanziata da studi sperimentali e anche da episodi reali. Esaminiamo brevemente solo alcuni casi esemplari che mettono in luce la manipolazione e la degenerazione di quanti vivono in una società di massa sotto il controllo e la tutela dello stato. La manipolazione e la degenerazione sono stati resi possibili, come accennato in precedenza, dal fatto che coloro che hanno il potere politico e culturale hanno sfruttato a loro vantaggio alcuni aspetti della dinamica natura umana – formazione culturale quali ad esempio:



Prestigio connesso allo status (caratteristica umana: docilità). Stanley Milgram, forse uno degli psicologi più anticonvenzionali e geniali di tutti i tempi, ha escogitato un esperimento (1963) in cui un soggetto era autorizzato, da una presunta autorità scientifica (un attore), ad amministrare delle scariche elettriche (simulate) di varia intensità ad una persona (un altro attore) al fine di migliorare le sue capacità mnemoniche. Il fatto che molti soggetti (in un caso specifico 26 su 40) siano stati pronti ad infliggere quelle che essi ritenevano fossero davvero scariche elettriche di eccezionale grandezza (450 volt) seguendo le istruzioni di un uomo in camice bianco (un esperto) era ed è tuttora indicativo della propensione umana ad essere obbedienti all’autorità anche quando si tratta di mettere in atto richieste estremamente immorali (Stanley Milgram, Obedience to Authority, 1974).



Potere connesso al ruolo (caratteristica umana: accettazione). Nell’esperimento condotto dallo psicologo Zimbardo (1971) furono assegnati a caso ad un gruppo di studenti i ruoli di carcerato e di guardia in una prigione fittizia ricavata da spazi all’interno dell’edificio di psicologia dell’Università di Stanford in California. Le guardie furono, quasi fin dall’inizio, talmente prese dal loro ruolo e consapevoli del loro potere che si comportarono in maniera molto autoritaria e sadica nei confronti dei loro compagni studenti che interpretavano il ruolo di carcerati; questi ultimi a loro volta divennero, quasi tutti, stranamente sottomessi e obbedienti. L’esperimento dovette essere sospeso dopo solo sei giorni (invece delle due settimane previste) perché stava sfuggendo di mano, sollevando problemi morali di violenza materiale e psicologica incompatibili con una ricerca scientifica (Philip Zimbardo, The Lucifer Effect, 2007).



Pressione connessa al numero (caratteristica umana: conformità). L’esperimento di Asch (1955) ha rappresentato una sorta di test scientifico della famosa fiaba di Hans Christian Andersen, Gli abiti nuovi dell’imperatore, in cui le persone ripetono quello che la maggioranza proclama anche se quanto detto non è altro che pura e semplice idiozia. Nell’esperimento un soggetto è messo in un gruppo in cui è stato richiesto agli altri membri di dare risposte sbagliate ad una serie di domande concernenti linee geometriche. Il risultato è stato che in molti casi (36,8%) il soggetto si è adeguato alla maggioranza dando risposte grossolanamente sbagliate andando contro la sua percezione e il suo giudizio. La pressione sociale a conformarsi era per taluni così forte che essi preferivano sbagliare con la maggioranza che sostenere il vero da soli (Solomon Asch, Opinion and Social Pressure, 1955).

L’aspetto centrale, estremamente sconcertante e preoccupante, che emerge da tutti questi esperimenti, è che alcune caratteristiche della natura umana che sono quanto mai necessarie ed utili per promuovere la socialità e pacifiche relazioni sociali (la docilità, l’accettazione, la conformità) possono diventare anche, nelle mani di un qualche potere, armi aggressive che spingono le persone a commettere ogni sorta di idiozia, misfatto e perfino atrocità.



In altre parole, l’idiota di massa seriale così caro al potere statale per la sua docilità, accettazione, conformità, è un bravo ometto, generalmente incapace di far male ad una mosca, il quale potrebbe benissimo prender parte ad atti di brutalità o a programmi di sterminio di massa, basta solo che riceva ordini da persone vestite in maniera appropriata (scienziati in camice bianco o militari in alta uniforme), i quali godono di una posizione sancita dalla legge (ad es. i burocrati statali) e sono riconosciuti e sostenuti da un consistente numero di altri ometti (cioè, individui appropriatamente manipolati). Questo è quello che è stato già qualificato come “la banalità del male” (Hannah Arendt, Eichmann in Jerusalem, 1963).



Quindi, quando avvenimenti atroci hanno luogo non c’è bisogno poi di discorsi indignati riguardo alla malvagità della natura umana e di esortazioni altisonanti in favore di un percorso di redenzione e di conversione. Questi sono proclami del tutto superficiali e idioti che servono solo a mascherare il meccanismo reale marcio che ha reso tutto ciò possibile, e cioè l’attribuzione di una sovranità monopolistica ad una certa entità (lo stato territoriale) nel cui nome e sotto la cui istigazione quasi tutte le atrocità sono commesse. L’esistenza di questo potere monopolistico costituisce il pericolo più spaventoso per il buono sviluppo della natura umana. Fino a quando questo potere non è denunciato e dissolto continueremo probabilmente ad assistere o addirittura a partecipare a casi estremi di follia collettiva (come il genocidio in Ruanda del 1994) o ad eventi ordinari di miseria morale.



Presentiamo allora alcuni di questi casi di ordinaria oscenità morale per chiarire meglio ciò a cui si fa qui riferimento:



L’accoltellamento di Kitty Genovese. Nel 1964, Catherine Susan Genovese, nota agli amici con il soprannome di Kitty, fu colpita a morte con un coltello vicino alla sua casa a Queens, New York. Lo stesso uomo, che la violentò anche, colpì Kitty Genovese ripetutamente in due attacchi successivi. Molte persone che vivevano nell’area furono almeno parzialmente consapevoli che qualcuno era stato aggredito ma essi non fecero praticamente nulla. Finalmente, dopo il secondo attacco, una persona telefonò alla polizia; Kitty Genovese morì nell’ambulanza che la portava in ospedale. Le circostanze riguardanti la sua morte, pur non essendo così orribili come riportato allora da un cronista del New York Times (Martin Gransberg, “Thirty-Eight Who Saw Murder Didn't Call the Police.” 27 Marzo 1964) sono nondimeno terrificanti e indicative dell’apatia e dell’indifferenza delle persone che vivono in una società di massa.



L’uccisione di James Bulger. Nel 1993, James Bulger, un bambino di due anni, fu portato via e ucciso da due adolescenti di dieci anni. I ragazzini condussero il bambino prima in un lontano canale e poi in vari altri luoghi. Durante il lungo tragitto a piedi, il bambino impaurito e già con alcuni lividi fu visto da 38 persone ma solo due intervennero in maniera molto blanda lamentandosi del modo in cui era trattato; nonostante ciò, alla pari di tutti gli altri, essi non fecero praticamente nulla. Jame Bulger fu alla fine condotto sulla linea ferroviaria vicino alla stazione di Walton & Anfield (Liverpool) e colpito con una sbarra di ferro che gli fracassò il cranio. Dopo aver provocato 42 ferite dappertutto sul corpo, i ragazzini collocarono il bambino sui binari ferroviari dove fu tagliato in due da un treno dopo che essi si erano allontanati. Questo episodio ripete lo stesso modello del caso precedente; molte persone videro che c’era qualcosa di sbagliato, ma non ebbero l’energia, il coraggio e la voglia di intervenire. Per l’idiota seriale di massa l’intervento spetta allo stato. È necessario quindi fare riferimento a un episodio in cui lo stato fu chiamato ad intervenire.



L’annegamento di Jordan Lyon. Nel 2007 Jordan Lyon, un ragazzo di 10 anni si gettò in uno stagno nei pressi di Manchester (Inghilterra) per salvare sua sorella. Dopo averla trascinata verso la riva scivolò sott’acqua a causa del peso della sorella. I poliziotti chiamati sul posto per cercare di salvarlo non intervennero perché, come è stato in seguito precisato, non avevano seguito lezioni di salvataggio in acqua e di pronto soccorso.

Quello che questi episodi mostrano non è la malvagità della natura umana ma la pura e semplice cancellazione dell’umanità (e quindi della natura umana) e la riduzione degli individui a macchine prive di sentimenti, pensieri, volontà. L’idiota seriale di massa ha rinunciato al suo compito di essere umano e ha delegato tutto al Grande Fratello, lo stato territoriale monopolistico, a cui ha consegnato il suo corpo, il suo cervello, la sua anima.

L’idiota di massa seriale generato dal Grande Fratello è ora:



Un professionista nello scaricare le responsabilità.

Un esperto nell’evitare i biasimi.

Un campione nell’arte della credulità.

A parte alcuni casi gravi di straordinaria violenza a livello individuale, l’idiota di massa seriale può essere assimilato più ad un gregge di pecoroni che ad un branco di lupi. In realtà, l’immagine convenzionale degli uomini come lupi non ha mai colto particolarmente nel segno e quindi la vecchia (falsa) affermazione “homo homini lupus” dovrebbe essere sostituita da una nuova e più realistica espressione: “homo homini loco”. Questa caratterizzazione (loco=stupido) significa che noi siamo lentamente diventati idioti totali che si autoingannano credendo che i problemi sociali derivano dalla malvagità intrinseca alla natura umana mentre essi sorgono a causa della perdita di qualsiasi traccia di natura umana. Coloro che sono al potere hanno manipolato le qualità umane (senza trovare alcuna opposizione) al fine di distruggere la natura umana (umanità) e giustificare così il loro ruolo oppressivo di guardiani. Quella che è emersa è la “follia sotto controllo” (“controlled insanity”) così bene descritta da George Orwell in 1984, in cui “la vera caratteristica della vita moderna non è la sua crudeltà e insicurezza, ma semplicemente il suo squallore, la sua tetraggine, la sua apatia”.



Il diventare un idiota seriale di massa privo di natura umana è la sola o quanto meno la più probabile strada aperta alla maggior parte delle persone nella società di massa plasmata dal Grande Fratello, lo stato monopolistico.



Comunque, non è la sola opzione per coloro che non vogliono essere triturati come individui e ridotti a poltiglia informe, pressata nella stesso stampo identico per tutti (la manifattura statale delle identità).



Paradossalmente i governanti approfittano specialmente delle qualità più peculiari dell’essere umano (potenzialità, plasticità, polivalenza) per farne un docile strumento, cristallizzato in un comportamento stabilito e, alla fine, privo di quelle qualità proprie della natura umana. Per cui coloro che non sono interessati a diventare idioti seriali di massa devono impegnarsi a recuperare le loro qualità umane che possono essere messe pienamente in uso in una realtà sociale totalmente differente che non è solo possibile ma anche preferibile.







Pubblicato da Paxtibi a 4/09/2010 04:30:00 PM







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