sabato 24 aprile 2010

La fine del paradigma metropolitano del XX secolo


teatro detroit
Debora vi ha appena dato un aggiornamento su Detroit. Ci metto del mio e vi passo, intanto qualche foto di detroit che spiegano, piu' di tante parole, di cosa stiamo parlando. Detroit, intendiamoci, è in decadenza da decenni. In pratica è il classico villaggio fantasma del vecchio West, riportato a scala continentale. Queste cose succedono, dovremmo saperlo bene e succedono anche velocemente ( questo lo sappiamo molto meno bene). Le città nascono, crescono si evolvono. E/o muiono quando esauriscono il loro scopo, la loro missione, il loro senso.
Non solo, abbiamo MILLENNI di Storia davanti ( o dietro?) a noi, che ci parlano di come e perchè questo succeda.
Non è finita; ci dicono anche COME succede e quanto, al massimo, può vivere una città.
Pura statistica. Sono migliaia, probabilmente, i centri urbani che nei millenni sono sorti (e sono scomparsi) sotto i piu' diversi climi, culture, religioni e paradigmi socioeconomici.
Su questi grandi numeri si possono fare osservazioni, ricercare schemi e similitudini e cercare di trarne se non qualche insegnamento, almeno qualche indicazione.
Detroit è, in questo senso paradigmatica della fine dell'industria pesante, concentrata, energivora, nel mondo occidentale. Dell'industria come base fondante della prosperita di un paese e/o elemento trainante dell'economia e della politica di un paese.
C'e' poi un aspetto a mio parere indebitamente trascurato, quanto si analizzi la crisi dei grandi distretti industriali.
Quel genere di vita, per niente corrispondente ai bisogni dell' uomo, era ed è sopportabile solo per un motivo: la personale scalata economica, alla ricerca di un benessere vero o presunto. In primo luogo si basa sui peones di ogni fede, cultura, origine, sul proletariato e sottoproletariato. Superato quel livello, al sopraggiungere della prima crisi, gli americani sono scappati dalla polvere, dallo squallore, dalla rovina.
In primo luogo, manco a dirlo, l'intellighenzia ( uff), portandosi via gli sghei.
A seguire il resto della cittadinanza.
OVVIAMENTE questo non è ANCORA successo in Cina, tanto per dire.
Ma succederà. Noi di Crisis riteniamo presto.
In realtà la città, in ultima analisi il luogo degli scambi degli incontri della cultura e, ovviamente, fulcro economico e politico locale e nazionale, è in crisi anche da noi. Via via che decentralizziamo, via via che la tecnologia ci permette di partecipare del mondo, connettendoci dai luoghi i piu' vari, via via che, anche da noi, la deindustrializzazione marcia a pieno ritmo.
Debora ha parlato di Detroit, che ha perso metà degli abitanti, negli ultimi decenni.
Avete mai provato a chiedervi quanti ne ha persi la vostra città?
Firenze, ad esempio, ha perso quasi un terzo della popolazione, dagli anni '70.
Le zone centrali probabilmente piu' due terzi. Il caro alloggi, certo.
Ma anche l'abbandono delle sedi universitarie, decentrate in orrendi comprensori nella piana e/o in periferia, la chiusura di molte imprese, industriali ed artigiane, la progressiva chiusura verso qualunque esigenza che non sia legata al turismo.
I nostri centri storici sono sempre piu' delle quinte vuote, dei simulacri da mostrare con orgoglio ai turisti. Pochi si accorgono che somigliano sempre piu' al centro di Pompei o Ercolano. Reliquie di un tempo che fu', mummificate ed imbellettate.
Un caso limite per tutti? Venezia. Nel cui centro storico non risiede che un decimo degli abitanti originari ( forse meno).
E' logico che questo succeda. Il motivo commerciale ed economico ormai gira intorno alle vetrine e non alle attività produttive. la capacità di aggregazione culturale decresce in parallelo con i fondi, l'interesse e le capacità a disposizione.
La politica, che dell'economia e della cultura è diretta filiazione, segue ed anzi anticipa vorticosamente il declino.
Quando guardiamo Detroit faremmo bene a riflettere sulle NOSTRE città, sul loro futuro, non ancora segnato ma purtuttavia ormai chiaramente tratteggiato.
Per rimanere a qualcosa che conosciamo bene e di cui ho già scritto: i romani erano orgogliosi della loro grande metropoli che ai tempi di Costantino era già tale da almeno 5 secoli.
Nonostante qualche saccheggio minore il centro di Roma era ancora intatto ai tempi delle guerre Gotiche. Aperto per l'ammirazione dei ( pochi) eruditi e studiosi di quel tempo agitato.  La città era però una quinta vuota, depapuerata del proprio ruolo politico ( la capitale era stata trasferita, da quasi un secolo a Milano, poi a Ravenna) economico (i commerci, a causa della insicurezza delle strade e delle vie marittime erano crollati) e "culturale" ( centinaia di istituzioni, templi, biblioteche, legati ai vecchi dei, ai vecchi paradigmi, erano stati svuotati, smantellati etc etc).
Purtuttavia vi sono prove che, appena prima del primo assedio gotico, la stragrande maggioranza dei monumenti era intatta e veniva manutenuta ( sia pure con crescenti problemi). Un decennio dopo la città era VUOTA. Bruciata, devastata. I tempi distrutti, statue e colonne usati come proiettili e/o fatti rotolare contro i goti, lungo i pendi alla base delle mura. Si dice che furono usate cosi DECINE DI MIGLIAIA di colonne.
In ogni caso, se fossimo passati da Roma DOPO le guerre gotiche avremmo visto una situazione simile a quella odierna. Non furono infatti i millenni ma pochi anni di furia e di collasso a distruggere edifici che erano perdurati per secoli, dall'alto dei quali i nostri bis bis bisavoli avevano contemplato i collassi delle civiltà altrui sperando che la loro non avrebbe seguito lo stesso corso. Lo speravano ma non ci credevano. Basta leggere quel che scrisse Marco Aurelio:
 "Volgi subito lo sguardo dall'altra parte, alla rapidità dell'oblio che tutte le cose avvolge, al baratro del tempo infinito, alla vanità di tutto quel gran rimbombo, alla volubilità e superficialità di tutti coloro che sembrano applaudire... Insomma tieni sempre a mente questo ritiro che hai a tua disposizione in questo tuo proprio campiello " (Ricordi, IV, 3).

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