mercoledì 8 febbraio 2012

Vi faccio vedere come fallisce un paese


























La Grecia ha deciso di prendere in giro l’Europa? Il problema ellenico sembra voler diventare un dramma, e insieme una commedia: stipendi tagliati e iva alle stelle rischiano di accompagnare Atene verso un ineluttabile crack:
Le bandiere tedesche bruciate ieri sulla piazza Syntagma di Atene raccontano che la crisi greca —e quella del debito in Europa—avrà un finale politico, non tecnico. Siamo nel quinto anno di recessione della Grecia e le differenze economiche e sociali tra la realtà ellenica e quella europea, soprattutto tedesca, continuano ad aumentare, anziché ridursi. A un livello ogni giorno meno sopportabile. In questo periodo, la ricchezza annua prodotta dai greci è diminuita di quasi il 20% (del 6% nel solo 2011): oggi siamo a un Prodotto interno lordo (Pil) pro capite di 19 mila euro contro i 32mila euro di un cittadino della Germania (26 mila di un italiano). E anche nel 2012 l’economia greca si contrarrà di almeno il 3%. La disoccupazione è passata dal 7,7% della forza lavoro del 2008 al 17% dell’anno scorso e le proiezioni del Fondo monetario internazionale (Fmi) indicano che salirà al 19,5% nel 2013: in Germania siamo attorno al 6%.
Se si guarda ai giovani senza lavoro, quelli greci sono il 47%, in pratica Atene e Berlino sono più lontane che mai: tenerle assieme sarà un problema.
Quando un’economia crolla — e quella greca è crollata e sta crollando—per un certo periodo tutti gli indicatori impazziscono. Il guaio, al momento, è che non sembrano avere intenzione di stabilizzarsi nemmeno dopo cinque anni, nonostante le misure adottate, gli aiuti dell’Europa e le misure di riforma imposte dalla cosiddetta troika internazionale di sostegno, cioè l’Unione europea, la Banca centrale europea, l’Fmi. I numeri, i resoconti che arrivano da Atene, le proteste sociali indicano che ormai la situazione è esasperata e che l’ipotesi di uscita dall’euro e di ritorno alla dracma è pienamente sul tavolo: gli economisti di Citibank hanno aumentato le probabilità di un’uscita della Grecia dall’Eurozona (Eurexit la chiamano) «al 50% nei prossimi 18 mesi, da precedenti nostre stime che la collocavano al 25-30%». È un’idea che ormai si fa largo anche tra molti greci, stretti tra disoccupazione, aumenti delle tasse, tagli a stipendi e pensioni. Da quando la crisi ellenica è scoppiata ufficialmente, all’inizio del 2010, il governo ha preso una serie di misure di emergenza: alcune che più o meno funzionano, altre che non hanno gambe per marciare.
Uno dei primi interventi ha riguardato le pensioni:
Età di pensionamento delle donne portata a 65 anni, come quella degli uomini; pensioni di anzianità sotto i 60 anni disincentivate; assegno previdenziale legato all’andamento del Pil (dal 2014); trattamenti di reversibilità aboliti; tredicesime e quattordicesime ridotte; revisione delle pensioni di inabilità per portarle sotto al 10% di quelle totali (dall’attuale 14%). In parallelo, sono state introdotte una serie di nuove tasse: una sorta di patrimoniale sulla casa, piuttosto complessa, e altre sui consumi. Una che ha portato l’Iva sul conto dei ristoranti al 23% ha creato scalpore. Il problema è che ha anche incentivato l’evasione fiscale. Uno dei maggiori problemi greci, infatti, oltre a privilegi consolidati a vantaggio di alcuni settori sociali, è l’incapacità del sistema fiscale di raccogliere le imposte. E su questo per ora sono stati fatti pochi passi avanti. Altri interventi hanno riguardato e riguarderanno l’amministrazione pubblica, alla quale sono stati congelati e in alcuni casi ridotti gli stipendi e falcidiati i bonus natalizi e pasquali, con una riduzione prevista nel 6,5% del monte salari.

Ora, l’obiettivo è di ridurre di 150 mila il numero dei dipendenti pubblici entro il 2015, un taglio del 22%:
Le discussioni in corso tra i tre partiti che appoggiano il governo dovrebbero portare a un taglio, in tempi brevi, di 15 mila posti. Sul piano più generale, è in discussione la riduzione del 20% del salario minimo, una misura molto discussa: nel 2011, infatti, il costo del lavoro è caduto del 2,5% ma nemmeno un po’ grazie a un aumento della competitività delle imprese, solo a causa della riduzione dei salari (2,3%) e dell’occupazione. Segno dell’incapacità dell’economia greca di migliorare in termini di competitività è il fatto che nonostante la disoccupazione sia al 17% il deficit dei conti correnti è ancora quasi al 10% del Pil. Se si guarda alle privatizzazioni, i risultati sono peggiori. Il governo di Atene aveva promesso alla troika vendite per 50 miliardi entro il 2017 (inizialmente entro il 2015), dei quali 35 entro metà 2014 e quasi due entro il 2011: finora ha incassato meno di 400 milioni. Altre riforme che non prendono il volo riguardano la flessibilità dei contratti e del mercato del lavoro e la liberalizzazione delle professioni. In una situazione così drammatica — povertà in aumento e incertezza assoluta sul futuro — i greci hanno ritirato dalle banche (dati del novembre scorso) un quarto dei depositi che avevano due anni prima, una parte consistente dei quali sono finiti in Austria, Svizzera, Germania. Tanto che le banche hanno dovuto rifinanziarsi per 43 miliardi presso la Banca centrale di Atene e per 73 miliardi presso la Bce. Il sistema del credito è bloccato, nessuno presta più alle imprese elleniche o accetta garanzie da loro. La situazione sociale è grave, la fiducia è crollata, le aspettative per il futuro sono sottosopra. L’Europa e la Germania chiedono nuova austerità e diventano odiose. Si dà fuoco alle bandiere.




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