sabato 26 settembre 2009

Barack finanzia i giornali e attacca i blogger. Nota su un leader in declino
Carlo Lottieri


È fuori discussione che la vittoria elettorale di Barack Obama alle ultime presidenziali americane per decenni sarà oggetto di studi e ricerche da parte di storici e politologi. Se qualche decennio prima aveva fatto scalpore l’elezione di un “cattolico” (un irlandese, insomma) come John F. Kennedy, che dire dell’elezione di un “nero”?Certo: sul piano personale Obama ha davvero avuto relazioni alquanto sui generis con la comunità afroamericana, poiché è figlio di un africano e di un’americana WASP, ma sul suo essere black ha giocato con grande abilità retorica.
Ecco un primo punto: Obama appare, di tutta evidenza, un genio della comunicazione politica. Una specie di Mike Bongiorno deciso non già a fare i soldi ma a conquistare la Casa Bianca, un Berlusconi sobrio e composto, un Sarkozy che almeno finge di avere anche qualche idea.

Proprio per questo colpisce la sua più recente uscita contro i blogger. La scelta – al tempo stesso – di annunciare un piano di aiuti e finanziamenti a favore dei grandi giornali (spingendoli a diventare no profit: si veda qui) e di dichiarare guerra all’arcipelago dei blog (“opinioni senza controllo sui fatti”, ha detto) dice più di quanto non sembri. Non solo è un clamoroso autogol, ma ci comunica una debolezza fino ad ora del tutto imprevista.

Sul piano degli interessi tutto si spiega. In America la grande stampa è liberal: ed è progressista per molte ragioni. Perché l’élite statunitense è fatta in un certo modo, e soprattutto perché in un paese federale i grandi giornali esprimono soprattutto gli umori e le ideologie prevalenti nelle grandi città: New York, Los Angeles, Chicago. E la capitale, Washington, naturalmente. E non a caso tra i giornali più in rosso oggi ci sono proprio ilChicago Tribune, il New York Times e il Los Angeles Times.

Si capisce che Obama vada in soccorso dei “propri” mezzi di comunicazione: dei propri alleati più fedeli. Ma l’attuale presidente degli Stati Uniti ha vinto perché ha saputo, almeno simbolicamente, interpretare il nuovo: una ventata di giovinezza e modernità. Ora la sua guerra ai blogger appare all’America tutta intera come l’arrocco del Potere di fronte alla creatività di una popolazione che vuole pensare, scrivere, comunicare. Secondo talune ricerche, in America i blogger sono ormai 20 milioni, un cifra enorme, ed è normale che possano (ogni tanto, talvolta, spesso) dire cose opinabili, inesatte, irrazionali, inaffidabili. Ma davvero non c’è da preoccuparsi, dato che moltissimi tra di loro hanno un pubblico non superiore a quello che li ascolta quando predicano al bar.

In una società liberale, infatti, anche le idee sono in competizione; non si dà censura preventiva, ma alla fine la reputazione conta. E chi lavora male, difficilmente finisce per conquistare un grande pubblico.

Aiutare i giornali e annunciare iniziative contro i blog significa però dichiarare guerra alla libertà d’informazione, ma ancor più e ancor peggio significa rigettare l’America in quanto ha di più nobile.

Nei sondaggi, Obama perde colpi e ora cerca di serrare le fila. Aiuta i giornali amici e promette di mettere la mordacchia alle voci indipendenti. A quelle che sono libere per definizione: un po’ come lo erano, qualunque cosa dicessero, le radio in Italia negli anni Settanta. E poi convoca cinque televisioni (manco fosse un Cav venuto dalla Brianza…) e parla urbi et orbi per tentare di riconquistare il sostegno perduto.

Attenzione: un leader in declino è un leader pericoloso.



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