venerdì 25 settembre 2009

Stop agli incentivi auto

Un grido dalla Coin: basta aiuti alla Fiat
Oscar Giannino

“Se danno ancora aiuti di Stato alla Fiat e all’auto proporrò ai miei colleghi di varare azioni opportune, valuteremo anche se sarà il caso di fare uno sciopero fiscale”, ha detto l’amministratore delegato di Coin Stefano Beraldo, presentando i conti del suo gruppo che cresce di fatturato e di utili malgrado la crisi. È un tema da sempre delicato, in Italia, quello degli aiuti pubblici all’auto. Proprio per questo, credo che dobbiamo essere grati a Beraldo, per la sua franchezza. Ogni sondaggio riservato in materia, tra la massa degli imprenditori italiani, ottiene l’identica risposta. Che poi non si pubblichino, per non creare polemiche, è altro paio di maniche. Ma non è solo per questo, che Beraldo ha ragione. Bisogna infatti riconoscere che non sempre un giudizio è giusto, per il solo fatto di essere maggioritario. Cerchiamo allora, pacatamente, di vedere perché Beraldo ha ragione, perché sarebbe il caso che la politica lo ascoltasse.

Ci sono almeno tre buone ragioni per le quali è meglio non rinnovare anche per il 2010 gli incentivi pubblici all’acquisito di auto. La prima ha a che vedere con Fiat. La seconda, con l’intero settore mondiale. La terza, con la più complessiva situazione dell’economia italiana, nelle difficoltà attuali.

Fiat, all’esplodere della crisi un anno fa, grazie all’energia e alla velocità impressa al gruppo da Sergio Marchionne era reduce dal maggior utile operativo mai registrato in 109 anni, nel bilancio 2007. In una crisi che ha fatto scendere il mercato USA da 17 a 11 milioni scarsi di unità vendute l’anno, la Fiat ha perso volumi meno di tantissimi concorrenti, guadagnando quote di mercato dovunque nel mondo. Poiché produce auto di piccola cilindrata, i suoi motori consumano meno e con minor emissioni, e i suoi margini e utili li realizza soprattutto in mercati come Brasile e Polonia che hanno retto assai meglio di tutti gli altri, Fiat ha potuto vendere meglio e ottenere Chrysler negli USA col sostegno del contribuente americano e la benedizione di Obama. Marchionne a Francoforte ha appena detto che pur senza aver ottenuto Opel da Gm ciò basterà a portare la casa torinese ai 5,5 milioni di unità prodotte annualmente. Dobbiamo essere felici del miglior posizionamento Fiat sul mercato mondiale. Vuol dire però che non stiamo parlando certo di una crisi, da sostenere con gli euro del contribuente italiano, ma di un successo malgrado le avversità. Se non fosse così, non si capirebbe perché Exor, che controlla Fiat, volesse nel frattempo comprarsi proprio ora, per 3 miliardi e rotti, anche Banca Fideuram da Intesa, indebitandosi per di più per poter procedere all’acquisto.

Secondo: l’auto nel mondo. Tutti gli addetti ai lavori ritengono che la crisi dell’auto nel dopo Lehman non è una crisi della domanda, non dipende essenzialmente dal fatto che centinaia di milioni di consumatori, nel terrore di cali del reddito disponibile, abbiano rinviato o annullato intenzioni di acquisto. Certamente il fenomeno si è verificato. Ma la caratteristica tale contrazione della domanda ha messo tutte le maggiori case mondiali di fronte a una realtà per troppo tempo sottaciuta. La loro strutturale sovraccapacità produttiva, nell’ordine del 30-35% in più rispetto a ciò che i mercati mondiali assorbivano anche in anni come il 2007. La crisi dell’auto è una crisi dell’offerta, non della domanda. Poiché l’industria dell’auto ha continuato a essere considerata – da noi come in Francia o Germania e USA – come una fiore all’occhiello dell’industria nazionale, si sono frenate il più possibile ristrutturazioni che comportino contrazione della base produttiva e chiusura degli stabilimenti meno profittevoli, quasi sempre nei Paesi più avanzati. La particolarità italiana è che noi siamo il Paese OCSE nel quale, per via delle ricorrenti crisi Fiat, gli incentivi pubblici all’acquisto sono prassi di una storia ormai ventennale. Ma gli aiuti di Stato all’acquisto, anche quando sono ecologicamente volti ad abbattere le emissioni del parco circolante, hanno l’effetto di “drogare” le vendite nel periodo in cui vengono proposti, cannibalizzando vendite future quando gli incentivi terminano. È ciò che sta avvenendo in questo inizio settembre negli USA, una volta smaltiti in un solo mese i 5 miliardi di dollari che Obama ha destinato alla rottamazione. Ed è per questa ragione che oggi tutti gli esperti prevedono un 2010 quasi di stagnazione dei mercati, dopo che nel 2009 il calo, soprattutto in Europa e Cina, è stato massicciamente contenuto dagli incentivi pubblici adottati da tutti. Per noi che in Italia abbiamo drogato le vendite più di tutti gli altri, ora è il momento di smettere, concordando e lasciando fare alla Fiat – lanciata nella sua sfida mondiale – finalmente tutte le ristrutturazioni e chiusure del caso, per ottenere maggior produttività e camminare ancor meglio sulle sue gambe.

La terza ragione è che in Italia, le piccole e medie imprese sono oltre 4 milioni, il 99,9% di tutte le aziende. L’81,7% degli addetti è occupato nelle PMI. Le micro imprese da sole, sotto i 10 dipendenti, sono il 94,9% di tutte le imprese e occupano il 48% del totale degli addetti. Migliaia tra loro stanno vedendo i sorci verdi, soprattutto tra le manifatturiere che lavoravano in filiere rivolte all’export, con cali di fatturato e ordini che ancor oggi sono nell’ordine del 30-40%. Ai loro dipendenti, il governo ha fatto bene a estendere in deroga gli ammortizzatori sociali. Ma, alle aziende in quanto tali, non ha riservato nulla. L’applicazione della moratoria sulla restituzione dei prestiti dipende dalle banche. La Tremonti ter va benissimo e detassa gli utili, ma quest’anno non ce ne sono. Non abbiamo introdotto un meccanismo a tempo di sospensione eventuale delle norme sulla continuità aziendale, per i loro bilanci. Non abbiamo previsto un fondo nazionale per ripatrimonializzarle, come hanno fatto Germania e Francia. Non solo non gli abbiamo riservato sussidi e incentivi, ma non le abbiamo neanche sgravate di un euro di tassa.

Per questo dico che Beraldi ha ragione. È un errore continuare a dare alla Fiat che cresce ciò che si nega a tutti coloro che stanno nei guai. Nella finanziaria snella appena varata, gli stanziamenti per gli incentivi all’auto nel 2010 chiesti da Marchionne non ci sono. Mi auguro che non compaiano la notte del 31 dicembre. Anche se, per molti versi, lo temo.

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